Void

Void

(Italian at the bottom)

Deserto Rosso - M. Antonioni
© Michelangelo Antonioni / Deserto Rosso

The question came all of a sudden. At last.

After an endless, brief pause, when you’re about to treat yourself to a systemic, neural decompression, in that moment of cerebral darkness that precedes awareness, there, a girl worked up her courage and, in a trembling, clearly embarrassed voice — perhaps because of my presence or her fear of a stupid question — she ASKED.

My legs got shaky, and I felt the urge to sit down — maybe due to the imminence of the answer I could no longer postpone or the fact that, at last, I should have “faced myself” thanks to another person and solved this private matter once and for all.

I wanted to start by taking the time that such a stupid question required, comfortably and relaxed. A long, dense, deep breath and a few seconds to seek mental clarity — which never came.

How do you photograph nothingness?” she asked.

Koyaanisqatsi © G. Reggio

I’d been spending years trying to get ready for that question, but then I always ended up getting caught in other thoughts owing to my mental laziness and my hidden, dark, personal reasons.

But when this question periodically popped up on my mind, I used to try to understand why I unconsciously avoided it — quickly, automatically; however, I always had nothing more than weak, unbearable answers.

This “nothingness” inevitably dragged me to metaphysical considerations about void, solitude, and silence; to that thin border line between reality and hanging/mystery, to dreadful, Nitzschean considerations about the intolerance of “the vision of life”.

And what if finding out Something were more dreadful than Nothingness?

Koyaanisqatsi © G. Reggio

I could have started with a Lacanian reflection on the “Thing”, that primitive, constitutive nucleus of the Ego that sounds unreachable and lost to us. The Thing that takes the shape of a central void, a hole. Something alienated, something “I cannot know even though it’s inside of me”, like something that always hangs between a hypothetical “inside” and a hypothetical “outside”. I could have philosophized about Art as the organization of the void, as the edging of the central void of the Thing, which is unrepresentable by definition — according to Lacan. In short, it’s about inserting absence in a form. The form of nothingness, indeed.

In art history, different concepts such as God, Nature, Infinity, Language, Void, Space, and Time, as Kounellis pointed out, have the same function, which is to build a bridge between reality and the intrinsic mystery of things.

Deserto Rosso © M. Antonioni

I could have spoken about this… But I didn’t.

Why do you want to know?” I asked. “I think nothing can be photographed per se, least of all the void, silence, or solitude. Let’s rather wonder how it manifests itself in us and around us. This can be photographed.”

The void” I continued “with its clear, disarming awareness of ‘impossibility’ it carries around. DeLillo and Easton Ellis tell us about the void, about silence and nothingness through a human society by now collapsed and destined for moral — and probably physical — extinction. After all, as DeLillo states, time — in the age of global disaster — is told only by money, and people’s life and death are compared only to rats’.

There are dead stars that still shine because their light is trapped in time. Where do I stand in this light, which does not strictly exist?”

D. DeLillo – Cosmopolis

Turn up the TV, no one listening will suspect. Even your mother won’t detect it, so your father won’t know. They think that I’ve got no respect but Everything is less than zero.”

B. Easton Ellis – Less Than Zero

I continued… “Or silence, for example. Michelangelo Antonioni portrayed silence as a necessary place for moving from the invisible to the visible; a moment of unavoidable hanging, necessary for the incubation of the image, an emotional, space-time fracture of the brutal, existential reality.”

L'eclisse © M. Antonioni

Today the dialogues of a film broadcast on TV came into the living room: ‘If I were you, Jim, I wouldn’t do it.”

After this sentence, I heard the howling of a dog; long, sincere, perfect in its parable that ended in the air as in a great sorrow. Then I thought I heard a place, but it was my silence, and I was happy.

The park is full of silence made of noises. If you press your ear to a tree and listen, you’ll hear a noise eventually. Maybe it depends on us, but I like thinking it comes from the tree. That silence was broken by an alien noise disturbing the sonorous landscape around me. I didn’t want to hear it, I closed the window, but it persisted. I thought I was going out of my mind. I wouldn’t hear useless sounds, I would like to select them during the day, and the same goes for voices, words. There are so many words I wouldn’t listen to, but you can’t escape, you must resign yourself, just how you resign to the waves of the sea when you float on them.”

Will you let me hear it again?”

La Notte – M. Antonioni

La notte © M. Antonioni

… silence

Recommended inspirations:

J. Lacan – Seminar. Book VII: The Ethics of Psychoanalysis

D. DeLillo – Cosmopolis

M. Antonioni – Incommunicability Trilogy / The Adventure, The Night, The Eclipse

G. Reggio – Koyaanisqatsi

B. Easton Ellis – Less Than Zero

F. Ruina – Lacan e l’estetica del vuoto (Lacan and the Aesthetics of the Void)

La domanda arrivò all’improvviso. Finalmente.

Dopo una pausa interminabile di alcuni secondi, quando si è lì lì per dismettere gli spettatori e concedersi una decompressione neuronale sistemica, in quel momento di buio cerebrale che precede la consapevolezza, ecco, una ragazza si fece coraggio e con voce tremula, evidentemente imbarazzata non so se per la mia presenza o per la paura di una domanda stupida, CHIESE.

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Le gambe si fecero molli e la necessità di sedermi impellente. Ancora non so se per l’imminenza della risposta ora non più procrastinabile o perché finalmente avrei dovuto “affrontarmi” per intercessa persona e risolvere questa faccenda privata una volta per tutte.

Per iniziare volevo farlo comodamente, rilassato, prendendomi il tempo che una tale stupida domanda richiedeva. Un lungo, denso, profondo respiro e qualche secondo per cercare una chiarezza mentale, che mai arrivò.

Come si fotografa il nulla?” – mi chiese.

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Avevo cercato di prepararmi a quella domanda per anni. Ma poi, come sempre, la mia pigrizia mentale e le mie recondite buie motivazioni personali erano sempre riuscite a distrarre e impegnare la mia mente in altri pensieri.

Quando questa domanda mi riappariva alla mente però, ciclicamente, cercavo di capire perché inconsciamente la sfuggissi così velocemente e automaticamente; ma sempre avevo risposte deboli ed insostenibili.

Il “nulla” mi trascinava inevitabilmente in considerazioni metafisiche di vuoto, solitudine e silenzio; verso quella sottile linea di confine tra realtà e sospensione/mistero, in temibili considerazioni nicciane sull’intollerabilità della “vista della vita”.

E se la scoperta del Qualcosa fosse più terribile del Nulla?

Avrei potuto iniziare una riflessione Lacaniana sulla “Cosa”, quel nucleo originario e costitutivo dell’Io che risulta per noi inaccessibile, perduto. La Cosa che assume le sembianze di un vuoto centrale, di un buco. Qualcosa di alienato, di “estraneo a me pur stando dentro di me”, come ciò che resta sempre in bilico tra un ipotetico “dentro” ed un ipotetico “fuori”. Avrei potuto filosofeggiare sul concetto di Arte come organizzazione del vuoto, come bordatura del vuoto centrale della Cosa, per definizione non rappresentabile (secondo Lacan). Cioè, in sintesi, inserire l’assenza in una forma. Del nulla appunto.
Nella storia dell’arte concetti differenti, quali ad esempio Dio, la Natura, l’Infinito, il Linguaggio, il Vuoto, lo Spazio e il Tempo, come ha sottolineato Kounellis, hanno tutti la stessa funzione: creare un ponte tra il reale e il mistero intrinseco alle cose.

Avrei potuto parlarle di questo … ma non lo feci.

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“Ma perchè lo vuoi sapere?” – le chiesi – “Credo che non si possa fotografare il nulla in sé, tantomeno il vuoto, il silenzio o la solitudine. Piuttosto chiediamoci come si manifesta in noi e attorno a noi. E questo si che si può fotografare.”

“Il vuoto” continuai, “con la sua chiara e disarmante consapevolezza di “impossibilità” che si porta appresso. Delillo e Easton Ellis ci raccontano del vuoto, del silenzio e del nulla attraverso una società umana ormai collassata e destinata all’estinzione morale e, probabilmente, fisica. D’altronde il tempo – nell’era del disastro globale – è narrato, come dice DeLillo, solo dal denaro, e la vita e la morte degli uomini è equiparata solo a quella di topi di fogna.”

«Ci sono stelle morte che brillano ancora perché la loro luce è intrappolata nel tempo. Dove mi trovo io in questa luce, che a rigor di termini non esiste?».

– Don DeLillo “Cosmopolis” –

«Accendi la TV, nessuno di quelli che ascoltano sospetterà. Anche tua madre non se ne accorgerà, così tuo padre non lo saprà. Pensano che non abbia rispetto ma Tutto è meno di zero»

– Brett Easton Ellis, “Meno di zero” –

Continuai … “Oppure il silenzio, ad esempio. Michelangelo Antonioni rappresentava il silenzio come luogo necessario per il passaggio dall’invisibile al visibile, un momento di sospensione inevitabile e necessario per l’incubazione dell’immagine, una frattura emotiva spazio-temporale della cruda realtà esistenziale.”

“Dal salone oggi venivano i dialoghi di un film trasmesso alla televisione: ‘se fossi in te, Jim, non lo farei.’

Dopo questa frase, c’è stato il guaito di un cane; lungo, sincero, perfetto nella sua parabola che si chiudeva nell’aria come, in un grande dolore. Poi mi parve di sentire un aereo, invece era il mio silenzio, e io ne ero molto contenta.

Il parco è pieno di silenzio fatto di rumori. Se metti un orecchio contro la corteccia di un albero e rimani così per un po’, alla fine senti un rumore. Forse dipende da noi, ma io preferisco pensare che sia l’albero. In quel silenzio ci sono stati dei colpi strani che disturbavano il paesaggio sonoro intorno a me. Io non volevo dirlo, ho chiuso la finestra ma quelli continuavano, mi sembrava di impazzire.

Io non vorrei udire suoni inutili, vorrei poterli scegliere durante la giornata, così le voci, le parole. Quante parole non vorrei ascoltare, ma non puoi sottrarti, non puoi fare altro che subirle, come subisci le onde del mare quando ti distendi a fare il morto.”

“Me lo fai risentire?”

– “La Notte”, Michelangelo Antonioni 1964 –

… Il silenzio.  

 

Ispirazioni consigliate:

J. Lacan – Il seminario. Libro VII: L’etica della psicoanalisi

D. DeLillo – Cosmopolis

M. Antonioni – Trilogia dell’incomunicabilità / L’avventura, La Notte, L’eclissi

G. Reggio – Koyaanisqatsi

B. Easton Ellis – Meno di zero

F. Ruina – Lacan e l’estetica del vuoto